Palazzolo Acreide, “La Sicilia è un’isola per modo di dire”: presentato il libro di Mario Fillioley al museo dei Viaggiatori in Sicilia

Organizzato dall’Archeoclub, sezione di Palazzolo Acreide e dall’associazione amici di Giuseppe e Turi Rovella

Lo scorso 15 dicembre per l’evento dal titolo “Libri sotto l’Albero” – organizzato dall’Archeoclub, sezione di Palazzolo Acreide e dall’associazione amici di Giuseppe e Turi Rovella – è stato presentato al Museo dei Viaggiatori di Palazzolo Acreide il libro di Mario Fillioley, “La Sicilia è un’isola per modo di dire”.

Il libro di Fillioley è un insieme di quadri, e d’arte, sulla Sicilia. “La Sicilia è un’isola per modo di dire” è un libro fuori dal coro, perché l’autore presenta e descrive varie situazioni reali, in modo particolare, sulla sua Siracusa con ironia e con una comicità fuori dalla normalità.

La Sicilia, isola che non è mai stata isolata (con un gioco di parole) – così dice l’autore – perché crocevia di popoli diversi, è stata trattata, dal punto di vista della letteratura, mettendo in risalto stereotipi che si perpetuano nel tempo.

Infatti la Sicilia, secondo l’autore, non è una regione come le altre ma una regione molto raccontata, molto visibile. È diventata un genere letterario, ci sono libri, gialli, fiction sulla Sicilia, cinema sulla Sicilia, che va benissimo che ci siano. Però c’è un problema, non è la Sicilia (vera), è la Sicilia del genere letterario: che vede l’isola, abbastanza mitica con tutti i personaggi archetipici, con le sue maschere se vogliamo. Tutto ciò convince di varie cose che non sono vere.

Fillioley con il suo lavoro ha voluto sfatare gli stereotipi e luoghi comuni, che il mondo ha della Sicilia, che sono molto limitanti. L’autore infatti dice che il libro non rifiuta gli stereotipi, non si possono annullare perché fanno parte del bagaglio (culturale). L’impianto voleva essere del libro saggistico, ma Fillioley ricorre all’aneddotica familiare e sociale siracusano, infatti sono dei raccontini che hanno a che vedere con questo posto, le sue trasformazioni, il suo evolversi, i suoi problemi. È un libro di narrativa, dove non si danno giudizi, né si cerca di spiegare nulla, è una cartolina personale sulla Sicilia.

L’autore riesce così in un’impresa quasi impossibile: dire qualcosa di nuovo sull’isola troppo grande, troppo complessa e racconta con leggerezza e amoroso disincanto una Sicilia diversa, non definitiva e quindi tanto più vera e credibile.

La Sicilia, quindi, è un’isola molto raccontata, dice l’autore, dalle fiction alla letteratura che presentano l’isola non concretamente. I racconti, che Fillioley scrive, vogliono essere non solo la rappresentazione della realtà siracusana, ma anche la descrizione di sentimenti che l’autore vive sia in Sicilia che nelle città italiane dove periodicamente è vissuto, sia per frequentare l’uni-versità che per iniziare a lavorare come professore delle superiori.

Un luogo comune riguarda l’essere biondo con gli occhi azzurri, tipico discendente dei normanni. Il capitolo dedicato ai Normanni rappresenta uno dei più belli e dei più interessanti del libro di Fillioley, ma non è da trascurare l’argomento villette al mare di Fontane Bianche e quello riguardante una professoressa del liceo.

All’autore, quando era all’Università a Pisa, molti chiedevano: ma com’è che sei un siciliano chiaro di occhi e di capelli? “E già, certo, in Sicilia ci sono stati i Normanni – racconta – Io annuivo, sì, sì certo, però non è che capissi bene: quando c’erano stati questi normanni in Sicilia? Non se ne erano andati da un pezzo? Io un normanno non lo avevo mai visto, forse si erano trovati male, troppo scirocco, caldo umido. Mia madre non era normanna, era della Borgata, e nemmeno mio padre era normanno, era dello Scoglio, quindi cos’era successo?”

Il racconto “Professoresse” riguarda la figura di una di esse in particolare, la Sciabbarrà, la quale dice l’autore era una docente spietata perché non sentiva ragioni, la materia si doveva sapere dalla A alla Z, con una precisione fulminea, esatta; per cui creava un clima di terrore diffuso in classe. Nel racconto infatti si presenta così la professoressa: “la Sciabbarrà ci interrogava tutti ogni giorno sull’intero programma di tutte le materie e non dovevi tentennare, balbettare, farfugliare, altrimenti lei come un flagello… si infuriava e la sua mano sembrava come sguainarsi dal fodero di carne, muscoli e tessuto, perdere ogni parte molle e diventare solo osso, purissimo, un corpo contundente progettato apposta per demolire la mobilia scolastica. “E meno che mai possiamo permetterci scarsa preparazione”. Quando la Sciabbarrà diceva scarsa preparazione significava che a breve saremmo morti tutti”.

Infine il racconto “Villette” rappresenta uno spaccato della società siracusana che in un momento di boom economico, riesce a fabbricare le “Villette” a mare nella vicina Fontane Bianche, a pochissimi chilometri da Siracusa. L’amore per quel luogo divenne nevrosi e la vicinanza della seconda casa giocò un ruolo fondamentale: se la villetta è a dieci minuti di macchina, non c’è nessuna cesura tra lavoro e ferie estive, e finisci che continui a fare la spola tra mare e città in continuazione e per motivi futili. Su e giù anche più volte al giorno.

Le villette comunque erano state fabbricate abusivamente, l’autore quindi si chiede: “Abbiamo davvero perpetrato abusi edilizi? Abbiamo peccato contro le nostre stesse risorse? Prima che le villette mutassero destinazioni d’uso, da seconde case a foresterie, io avrei risposto di si, senza esitazione. Adesso che le villette servivano per accogliere i turisti e a rendere più comode le ferie di chi viene dal nord allora l’abusivismo non era più considerato una cosa da terroni incivili”. E quindi dove sta la verità delle cose? Fillioley conclude dicendo che i suoi sono racconti paradossali, non ha la verità in tasca, ma raccontare la realtà è già un passo in avanti per denunciare.

Luisa Santoro


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